Ecco in cosa consiste davvero il Lavoro Agile

Martedì 29 Ottobre 2019

Fiducia nelle persone per il raggiungimento dei risultati.

Intervista a Carlo Mochi Sismondi, Presidente FPA e membro Comitato Scientifico Concilia 4.0

Il Lavoro Agile (Smart Working)¬ è entrato a pieno diritto tra gli strumenti normativi e operativi a disposizione delle organizzazioni pubbliche e private per il raggiungimento degli obiettivi di innovazione conciliazione vita-lavoro che si richiede alle città del futuro. Cosa comporta davvero per chi ne usufruisce? Quali sono le condizioni di cui tenere conto?
L’istituto del Lavoro Agile (Smart Working) si costituisce – secondo quanto stabilito dalla legge n. 81/2017 – come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali, un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. Data la definizione formale del modello, particolarmente innovativo e in fase di sperimentazione in tante organizzazioni pubbliche e private, che tipo di sfide e opportunità favorisce? Quali sono i veri vantaggi e gli strumenti concreti di applicazione? 
“La definizione, come tutte le cose semplici, nasconde significati molto densi – sottolinea Carlo Mochi Sismondi, Presidente FPA e membro del Comitato Scientifico Concilia 4.0 Smart Lab – considerando i risvolti pratici a cui tende. Il senso della definizione riporta direttamente all’attenzione alle persone in un percorso di ripensamento del lavoro molto più ampio. Il lavoro agile non nasce come un fungo. Risulta piuttosto all’interno di riforma organizzativa in cui al centro sono le persone e il loro sviluppo.”
Sebbene la legge sia “la chiave di una stanza che sta alle persone arredare e rendere confortevole”, come ricorda Mochi, questa ci aiuta a individuare quattro elementi prioritari su cui far leva:

  1. Flessibilità organizzativa, grazie al superamento dei vincoli di spazio e tempo;
  2. Carattere di volontarietà, lasciando all’accordo tra datore di lavoro e dipendente tempi, modalità e obiettivi di esecuzione del Lavoro Agile;
  3. Accesso alla strumentazione (tecnologia), individuando caso per caso quantità e qualità dei device tecnologici da garantire al lavoratore dipendente in caso di Lavoro Agile;
  4. Parità di trattamento, non volendo ricondurre la pratica dello Smart Working a episodi di disparità in termini di trattamento economico o inclusione nelle dinamiche professionali. 

“Quest’ultimo punto – ricorda Mochi – non è affatto banale. Soprattutto, ne è impensabile l’attuazione se ci affidiamo alla sola legge, senza considerare il forte cambiamento culturale, sociale e organizzativo che questo elemento richiede, che passa in prima istanza dalla fiducia (building trust) nel lavoratore dipendente, e dello stesso verso l’ente di riferimento”.
Come si è arrivati al Lavoro Agile? Qual è stato il percorso che ha portato al modello?
“Nelle organizzazioni pubbliche, ad esempio, il concetto di building trust è qualcosa che dobbiamo ai processi di Riforma della PA riassunti dallo slogan del reinventing governments dei tempi dell’Amministrazione Clinton, che cominciava ad accarezzare un approccio orientato a obiettivi e risultati dei dipendenti pubblici, tradotto in Italia più tardi con la traduzione dagli atti ai fatti. 
Condizione necessaria e sufficiente perché questo accada, evidentemente, è l’impostazione condivisa e chiara degli obiettivi da raggiungere, dei tempi di ottenimento risultati e del senso di squadra da disseminare. Non è realistico pensare di poter applicare Smart Working senza i giusti accorgimenti che lo tradurrebbero in alienazione”. 
In conclusione, nessun progetto di lavoro agile ha possibilità di successo se non in presenza di una profonda riorganizzazione del lavoro che si basi su alcuni cambi di visione:

  • Cultura manageriale e modelli organizzativi fondati sulla definizione di processi e indicatori, ovvero sulla programmazione e sul perseguimento di obiettivi e quindi sulla misurazione dei risultati, piuttosto che sul numero di ore lavorate;
  • Maggiore autonomia e capacità decisionale unite a flessibilità riconosciuta ai lavoratori, sviluppando negli stessi una responsabilità di risultato piuttosto che di mera prestazione, nonché una maggiore motivazione tenuto conto anche degli effetti sul “work-life balance”;
  • Relazioni professionali fondate sulla fiducia e sulla gestione intelligente del lavoro, stimolando comportamenti virtuosi e favorendo uno spirito di collaborazione e valorizzazione dei talenti;
  • massima comunicazione e condivisione delle informazioni e sistemi tecnologici ed organizzativi che privilegiano, secondo la logica della Sharing Economy, l’accesso agli strumenti piuttosto che la titolarità della postazione di lavoro o l’assegnazione della scrivania fissa, arrivando a superare l’identificazione della sede di lavoro con gli spazi messi a disposizione dal datore di lavoro;
  • miglioramento dei servizi, incremento della produttività, maggiore benessere organizzativo e riduzione dei costi.
     

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